Il proprietario di un immobile risponde dell’infortunio mortale avvenuto durante la ristrutturazione?
“Il committente non professionale, può essere ritenuto responsabile per un infortunio sul lavoro solo a determinate condizioni.”
Lo ha ribadito la Corte Cassazione Penale, Sez. 4, con la sentenza del 4 febbraio 2025, n. 4409 che si è occupata proprio di un caso di omicidio colposo (art. 589, commi 1 e 2, cod. pen.) nel quale due soggetti, A.A., nella qualità di committente dei lavori di ristrutturazione di un rudere ex casa colonica, e G.G., in qualità di progettista, direttore dei lavori, coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione dell’opera, per colpa generica e in violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, avevano la morte di H.H.. Questi, mentre era intento a demolire manualmente la muratura portante dell’anzidetto fabbricato (all’interno della quale erano stati posizionati dalla ditta I.I. un ponteggio metallico ed una benna in cui dovevano essere scaricati i materiali di risulta), era stato travolto dal crollo del secondo solaio, sprofondando all’interno del fabbricato e rovinando al suolo sottostante, riportando gravi lesioni cranio encefaliche che ne determinavano l’immediato decesso.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso del committente che era stato condannato perché non aveva verificato che la documentazione fosse stata adeguata al mutamento dell’opera e che non aveva nominato, (…) un responsabile dei lavori che vigilasse sul l’operato del coordinatore per l’esecuzione.
La sentenza ha preso atto che il committente era un “privato”, cioè un soggetto non professionale, come avviene quasi sempre negli appalti domestici, dove chi affida i lavori, solitamente il proprietario dell’immobile non ha competenze tecniche per esigere il rispetto della normativa antinfortunistica. Neppure si può pretendere che egli abbia quelle conoscenze, altrimenti si bloccherebbe la manutenzione domestica che richiederebbe una formazione per i cittadini comuni, peraltro non prevista dalla legge.
Ciò però non significa che il committente privato sia del tutto privo di obblighi e, quindi, di responsabilità.
In primo luogo, egli risponde per la cosiddetta “culpa in eligendo”, ovvero per aver scelto una ditta esecutrice chiaramente non idonea a svolgere quei lavori oppure priva dei titoli previsti dalla legge. Inoltre, egli è responsabile se si è intromesso nell’organizzazione o nell’esecuzione del lavoro, o se ha ignorato situazioni di pericolo facilmente percepibili.”
In merito alla mancata nomina di un responsabile dei lavori, ossia la figura tecnica che il committente non professionale può (o, meglio, deve) individuare proprio per sopperire alle sue mancanze conoscitive, i giudici hanno evidenziato che l’imputato aveva dato ampio mandato ad un altro soggetto la cui caratura professionale era stata riconosciuta anche dai giudici di merito.
Orbene: questo soggetto aveva agito, di fatto, come il responsabile dei lavori, sebbene l’incarico conferitogli non facesse formale richiamo a tale figura. Il che è stato sufficiente, per la Suprema Corte, per mandare esente da responsabilità il privato.
Questa sentenza si inserisce in un solco esegetico consolidato che raramente ha trovato espressioni contrarie.